In Utero

Sono le 7:49 di un venerdì mattina. Sono arrivata in Italia il 5 luglio scorso. Da allora ad oggi non mi sono mai fermata, non ho avuto il tempo di realizzare ciò che stava succedendo, dopo tre anni. Non mi sono concessa un minuto. Forse avevo paura dell'emozione e l'ho evitata, forse è solo parte di questa mia vita resiliente che ha veramente una capacità di adattamento che mai avrei immaginato esistesse. Fatto sta che sono arrivata in Italia, dopo tre anni di isolamento, di vita monacale, e mi sono riimmersa in un nuovo isolamento, riprendendo ritmi che fanno parte della mia struttura genetica ormai, lavorando, guidando e muovendomi nelle strade che conosco come se me ne fossi mai allontanata. Roma, Cagliari, la Statale 131 avanti e indietro come una trottola. Perfettamente a mio agio. Ma evitando di fermarmi, evitando di guardarmi davvero intorno, evitando l'emozione.

Ho lavorato in queste tre settimane a ritmi serratissimi, non ho avuto il tempo per nessuno, ne per me. Mi sono immersa in un altrove che conosco come le mie tasche, che è un habitat di excell, telefonate, mail, ragionamenti, numeri e calcoli di tutti i tipi. Una bolla, la mia bolla, dove non conosco più nessuno, dove le relazioni sono funzionali alla visione da costruire, dove la mia super efficienza è fastidiosa se non si capisce che è motivata dal successo di un obiettivo difficile, a volte quasi impossibile. Una bolla dove se ci stai dentro è perché riesco a trasmettere quello che desidero, e se non riesco a trasmetterlo rischio di rimanere da sola, a sobbarcarmi tutto il lavoro perché non ho tempo di spiegare. Per fortuna da sola non sono stata, anzi... e la mia gratitudine cresce come cresce intorno a me una rete di persone che mi da fiducia. Però la verità è che non ho vissuto la mia vita in queste tre settimane. Non ho goduto ancora degli affetti, non ho condiviso neanche una mattinata al mare con mio figlio, non ho fatto nulla per me stessa, niente o quasi, di quelle cose che mi riprometto da tre anni.

Oggi per la prima volta, in questo gap tra ieri e questo pomeriggio, dopo poche ore di sonno, mi sono svegliata nel silenzio assoluto. Ho aperto la finestra e ho guardato questa valle, che nella mia visione da lontano era ispirazione e madre del mio progetto. Musa e Madre appunto, che poi è diventato il concetto e il manifesto di MusaMadre Festival.

Oggi finalmente questa Terra che amo e che rispetto mi ha dato il benvenuto e ha riempito i miei occhi ed il mio cuore. Mi ha cullata con il suo colore, con i suoi silenzi fatti di campanacci e versi di animali piccoli, grandi, per terra o per aria. Un silenzio rumorosissimo in questo utero che mi ristora e sicuramente mi aiuterà a rinascere.

Mi ci è voluta una mezz'oretta per tirar giù questa riflessione, che scrivo per la necessità di fissare questa sensazione nel mio ricordo e per condividerla con voi, che magari vorrete seguirmi in questi giorni di MusaMadre Festival

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cortometraggio Ischeliu/Richiamo (prima edizione -2022)

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L’irresistibile richiamo alla bellezza